Il Garum venne utilizzato nelle nostre zone fino a quando non venne superato per qualità, fragranza e profumo, nonché per semplicità di produzione, dalla “scoperta” della Colatura di alici avvenuta, probabilmente, intorno alle seconda metà del XIII secolo, ad opera dei monaci cistercensi abitanti dell’antica Canonica di S. Pietro a Tuczolo, situata sull’omonimo colle nei pressi di Amalfi.
I monaci possedevano una modesta flotta che utilizzavano generalmente per il trasporto di frumenti e che nei mesi estivi trasformavano in pescherecci per la pesca del pesce azzurro ed in particolare delle alici che a banchi enormi popolavano il mare di queste zone. I monaci avevano anche installato a valle del colle una modesta industria per la conservazione del pescato. Alle alici venivano pazientemente asportate le interiora e le teste e, dopo una risciacquata in acqua marina, venivano trasferite, alternandole a strati di sale, nelle botti le cui doghe, scollate dal tempo, non potevano essere più utilizzate per contenere il vino prodotto dalle uve della vigna del convento. Conclusasi tale operazione le botti venivano sistemate su travi di legno murali a mezzo metro dal pavimento. Ai primi di dicembre il sale e la grossa pietra posta a mò di pressa sopra il coperchio di legno, avevano operato la massima maturazione delle alici, facendo perdere ad esse il restante liquido che passava attraverso le doghe scollate della botte e colava sul pavimento emanando un profumo gradevole in tutto il locale della salagione. Il profumo era completamente diverso da quello prodotto dalle stesse alici durante il precedente periodo di prima maturazione. Il nuovo gradevole profumo, la limpidezza, il colore ambrato del liquido indussero i monaci addetti alla salagione a raccoglierlo ed a sottoporlo al giudizio del confratello cuciniere il quale, avendo intuito l’importanza della nuova scoperta, immediatamente la utilizzò sulle verdure lesse disponibili a cui aggiunse le spezie e gli aromi utilizzati in genere per servire tali pietanze.
I monaci della salagione raccolsero tanto di quel liquido speciale che ne mandarono in dono ai conventi della zona ed a molti cittadini che successivamente si industriarono per produrre il liquido in casa. Sarebbe molto interessante sapere quale contadino, pescatore o massaia ebbe per primo l’intuizione di utilizzare il cappuccio comunemente usato per stillare il mosto per filtrare anche i liquidi e le alici ben mature e i residuati nei fondi dei vasi di terracotta.
La colatura in seguito si accoppiò definitivamente al più importante partner della storia della cucina italiana: la pasta lunga. Infatti intorno alle metà del XVI secolo i pastai minoresi, atranesi e amalfitani diffusero questo tipo di pasta in tutto il territorio della regione.